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LE SCUOLE ECONOMICHE

La storia del pensiero economico studia l’evoluzione del pensiero degli studiosi nel tempo, nel loro sforzo di osservare la realtà e trovare strumenti di analisi idonei a interpretarla.

La storia del pensiero economico può essere suddivisa in tre periodi:

Pensiero economico nell’antichità:

Platone: elabora un pensiero che si potrebbe definire collettivista, condanna dell’arricchimento individuale, abolizione della proprietà privata ed distribuzione egualitaria dei beni tra tutte le famiglie. Nella REPUBBLICA Platone definisce l’economia come la scienza della produzione, dello scambio, della distribuzione, del consumo di quei beni e servizi che contribuiscono al benessere materiale.

Aristotele:elabora invece un pensiero individualista in quanto sosteneva che l’arricchimento individuale poteva stimolare l’iniziativa economica. Evidenzia la differenza tra valore d’uso e valore di scambio, studio del giusto prezzo. Sarà la base del pensiero economico medievale. Anche gli autori romani si ispirano al pensiero di Aristotele, infatti i giuristi romani erano strenui difensori della proprietà privata e delle norme successorie.

Tommaso d’Aquino si preoccupò soprattutto di scoprire ciò che era giusto per l’uomo, subordinando le scelte economiche alle direttive della morale cattolica (più che di teoria economica si parla di dottrina sociale). Va vista in questa prospettiva la condanna, da parte della chiesa medievale, del prestito ad interesse, che veniva identificato con l’usura. Il prestito ad interesse sarà riconosciuto lecito dalla Chiesa solo nel XVI secolo.

I PRESUPPOSTI DEL MERCANTILISMO

L'economia feudale nasce sulle ceneri dell’economia schiavista dell’impero romano. La relazione tra padrone e schiavo, una relazione che può materializzarsi solo se lo schiavo è in grado di produrre più di quanto consuma, si trasforma in quella tra signore e servo. Quest'ultimo è legato alla terra che coltiva, ricevendo in cambio la protezione del suo signore, il quale ottiene a sua volta il controllo della terra, in cambio di ben definiti servizi, dal suo superiore gerarchico, il duca o il re. Il controllo ultimo dell'attività produttiva è dunque nelle mani del re, il quale può liberamente trasferirne l'esercizio da un signore all'altro. Dal momento che terra e lavoro non sono oggetto di compravendite, ma solo di trasferimento non vi è alcun bisogno di mercati della terra e del lavoro. Autorità e tradizione bastano da sole a garantire il buon funzionamento del sistema.

La sicurezza economica permessa dall'istituzione feudale contribuisce al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni. Al tempo stesso, la formazione di città nelle aree densamente popolate e la diffusione su larga scala delle botteghe artigianali pongono le premesse per l'avvio di un'intensa attività commerciale. Sorge così la figura del mercante indipendente.

L'espansione dei commerci e in particolare di quelli a lunga distanza porta poi alla formazione di centri commerciali e industriali, dominati dalla nuova figura del mercante capitalista, che induce profondi mutamenti nell'attività produttiva. Infatti, il bisogno di ammontare crescenti di manufatti e soprattutto l'esigenza di maggiore stabilità dell'offerta conducono ad un crescente controllo dell’intero processo produttivo da parte dello stesso mercante. Dapprima è il mercante-capitalista a fornire all'artigiano le materie prime e a commissionargli, dietro pagamento, la trasformazione di queste in prodotti finiti mentre il lavoro continua ad essere svolto in botteghe indipendenti. In una fase successiva del sistema a domicilio (putting-out system), invece, il mercante-capitalista acquista anche la proprietà degli strumenti e spesso della bottega e assume lavoranti in proprio. Il lavoratore non vende più un prodotto finito al mercante, bensì la sua capacità lavorativa. L'industria tessile è. una delle prime incarnazioni del nuovo modo di produzione.

Il secolo XVI rappresenta dunque uno spartiacque nella storia europea, la linea divisoria tra il vecchio, declinante, ordine feudale e la nascita del sistema capitalistico. A partire dal Cinquecento, significativi mutamenti economici e sociali cominciano a manifestarsi con crescente frequenza. Tra questi, di particolare importanza è la formazione di una classe lavoratrice, privata del controllo sul processo di produzione e costretta dalle circostanze ad una situazione in cui la vendita della propria forza-lavoro rappresenta l'unica fonte di sostentamento. Ciò venne provocato, oltre che dal diffondersi del sistema a domicilio, dall’aumento della popolazione e dalla straordinaria e duratura inflazione prodotta dall'ingente afflusso in Europa di oro e argento dalle Americhe.

                                     IL MERCANTILISMO

L’economia come scienza nasce nel XVI secolo, dopo il declino dell’economia medievale, con la nascita degli stati nazionali moderni e diventa uno strumento della politica di potenza dei sovrani.

Il termine indica la politica di espansione e di sviluppo economico intrapresa dalle grandi monarchie europee e costituisce un insieme di norme pratiche di politica economica che, a opera soprattutto di scrittori inglesi, si diffusero successivamente in tutti i grandi Stati del continente europeo.

Gli scrittori mercantilisti guardano allo scambio come alla fonte della ricchezza e, in particolare del profitto.

Il mercante-capitalista adempie alla sua funzione economica quando il prezzo al quale vende la merce è sufficiente a coprire quanto ha dovuto pagare per ottenerla, più le spese di trasporto, di conservazione e di vendita, più, infine, un sovrappiù sul totale dei suoi esborsi che rappresenta il suo profitto. Per i pensatori medievali, invece, il prezzo doveva essere sufficiente, a coprire i costi diretti di produzione e ad assicurare all'artigiano una remunerazione del suo lavoro tale da consentirgli di vivere adeguatamente.

In primo luogo occorre precisare che il valore naturale delle merci è semplicemente il loro prezzo effettivo di mercato. Secondariamente, sono le forze di domanda e di offerta a determinare il valore di mercato. Infine il valore d’uso (cioè la capacità di un bene di soddisfare un bisogno) è il fattore che più di ogni altro determina la domanda e quindi il prezzo di mercato. Le condizioni di offerta delle merci giocano un ruolo solo nella misura in cui il mercante rileva che, ad un dato livello della domanda, il prezzo tende ad alzarsi se la quantità offerta è insufficiente, e viceversa.

Si può così comprendere perché in questo periodo le grandi compagnie commerciali cerchino l'appoggio dello Stato per assicurarsi posizioni di monopolio: la concorrenza tra mercanti non può che causare una caduta dei profitti e in quanto tale va eliminata.

J.B. Colbert divenne ministro delle Finanze dal 1661 al 1683, sotto Luigi XIV, e applicò in modo rigoroso le regole economiche del Mercantilismo. La politica di Colbert, tesa a sviluppare l'economia e a pareggiare il bilancio dello stato, cercò di creare nuove industrie, affinché la Francia non fosse costretta a comprare dall' estero.
Per ottenere buoni prodotti a basso prezzo al fine di battere la concorrenza straniera, Colbert incoraggiò l'immigrazione di operai stranieri specializzati e nacquero allora le grandi "manifatture" di proprietà dello stato. La condizione degli operai era però disastrosa: infatti essi dovevano lavorare dalle 12 alle 16 ore al giorno per produrre di più e mantenere così concorrenziali i prezzi. Alla sua morte, nonostante i suoi interventi in campo economico avessero prodotto ottimi risultati, la Francia versava nuovamente in condizioni finanziare precarie.

Il mercantilismo sosteneva che era compito dell’economia ricercare le leggi che rendevano più ricco, più potente e più popolato uno stato. Questi obiettivi furono perseguiti con una politica commerciale protezionista, con l’accumulazione di oro e metalli preziosi provenienti dai nuovi continenti, con lo sfruttamento dei possedimenti coloniali, con un rigido controllo della produzione e dei commerci. I mercantilisti sostenevano l’importanza della politica economica e del controllo dello Stato sulla bilancia commerciale. Più tardi si videro le conseguenze inflazionistiche dell’eccesso di metalli preziosi all’interno dello Stato che si riversarono sulle esportazioni e si evidenziò la necessità che lo stato controllasse la bilancia dei pagamenti e non solo la bilancia commerciale.

Le gravi tensioni inflazionistiche verificatesi soprattutto in Spagna e in Portogallo, conseguenti al riversarsi sul territorio nazionale delle ingenti quantità di metalli preziosi provenienti dal Nuovo mondo, spinsero infatti ad indagare sui fondamenti del valore della moneta.

Le gravi tensioni inflazionistiche si verificarono soprattutto in Spagna e in Portogallo e spinsero ad indagare sui fondamenti del valore della moneta. La conseguenza fu il riversarsi di quantità di metalli preziosi provenienti dal Nuovo mondo sul territorio nazionale.

I paesi mercantilisti tentavano con molti mezzi di sviluppare la produzione nazionale per sostituire le importazioni e garantire l'offerta di beni da esportare. Tipico fu il ricorso alla concessione di monopoli temporanei per la produzione di determinati beni e/o l'applicazione di determinati processi produttivi. Molti paesi tentarono di favorire l'immigrazione di manodopera (soprattutto specializzata) dall'estero e, con pene severe, di impedire l'emigrazione di quella nazionale. Concettualmente tale approccio era errato, e nella maggior parte dei casi le politiche mercantilistiche danneggiarono l'economia. In alcuni casi, però, ebbero un limitato luogo di stimolo per lo sviluppo economico.

Si abbandona l’intervento dello Stato in economia e si fa strada che l’origine del profitto è da ricercarsi nella produzione e non negli scambi.

Fra i principali pensatori del mercantilismo diffuso in tutta Europa si ricordano:

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Della Pietra Monica,
Otta Veronica e
Tassi Vanessa