La letteretura della resistenza

Nella prefazione a “Il sentiero dei nidi di ragno” che Calvino fa nell’edizione del 1964, ci sono molte considerazioni che delineano il clima generale, la tensione morale e il gusto letterario dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Cito alcuni brani particolarmente significativi.
“L’esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani – che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, “bruciati”, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d’una sua eredità. (…) quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un rovello problematico generale, anche una nostra capacità di vivere lo strazio e lo sbaraglio; ma l’accento che vi mettevamo era quello di una spavalda allegria.
(…)L’essere usciti da un’esperienza - guerra, guerra civile – che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare (…) La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d’olio, ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse (…)
Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia dell’anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui eravamo stati spettatori s’aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un’espressione mimica.(…)
Eppure, il segreto di come si scriveva allora non era soltanto in questa elementare universalità di contenuti,(…) al contrario, mai fu tanto chiaro che le storie che si raccontavano erano materiale grezzo: la carica esplosiva di libertà che animava il giovane scrittore non era tanto nella sua volontà di documentare o informare, quanto in quella di esprimere.
Esprimere che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo.
Personaggi, paesaggi, spari, didascalie politiche, voci gergali, parolacce, lirismi, armi ed amplessi non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma (...) Il "neorealismo” per noi che cominciammo di lì, fu quello e delle sue qualità e difetti questo libro costituisce un catalogo rappresentativo (…) Chi oggi ricorda il neorealismo soprattutto come una contaminazione o coartazione subita dalla letteratura da parte di ragioni extraletterarie, sposta i termini della questione: in realtà gli elementi extraletterari stavano lì tanto massicci e indiscutibili che parevano un dato di natura; tutto il problema ci sembrava fosse di poetica, come trasformare in opera letteraria quel mondo che era per noi il mondo.
Il “neorealismo” non fu una scuola. (…) Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche – o specialmente – delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. Senza la varietà delle Italie sconosciute l’una all’altra – o che si supponevano sconosciute -, senza la varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non ci sarebbe stato “neorealismo”. Ma non fu paesano nel senso del verismo paesano ottocentesco. La caratterizzazione locale voleva dare sapore di verità a una rappresentazione in cui doveva riconoscersi tutto il vasto mondo (…).



“Il sentiero dei nidi di ragno”
Calvino
Seconda Guerra Mondiale